sabato 26 gennaio 2013

Uno...passato per 100 interi camini...


Tornando da Prato in un orario indefinibile del pomeriggio, percorro via Arrendevole. Un nome, pare, derivato e dalle chiacchere e dal sudore gocciolante sulla canna-Bianchi di ciclisti di sessant'anni fa. Capirete, ovviamente, che si tratta di strada in salita. Arrendevole. Mezzo pomeriggio....un'orario a metà tra lupo e cane.
Ripenso alla frase di una signora straniera che quando dissi che era mia intenzione inventarmi un'attività nel suo paese, osservandomi fra stupore e curiosità, mi disse che allora si sarebbe trasferita lei in un luogo bello come la Toscana, altroché. “Come si può andarsene da una bellezza così?”.
Dicevo: ho ripensato a questa frase proprio mentre stavo percorrendo questa lingua selvaggia ascendente della mia terra, fra alberi ossuti e silenzi canterini.
Non si perdono mai certi suoni e certe movenze, nemmeno se la vita ti porta in Amazzonia a stare.
Non si perdono come non si perdono certi modi di avere orecchio per la musica; come non si perde il modo di camminare; come non si perde il rintocco dell'ora che sta a metà tra lupo e cane. Perché quella cosa che ascolti e che cammini, a volte rotolando ed a volte correndo sicuro........sei tu.
E nutri il sogno che la terra che ti ha partorito forse sia ancora più bella da ricordare attraverso le tue vene o il tuo solito sangue che bussa sotto agli occhi quando i pensieri si infittiscono di emozioni.

Arrivo vicino ad una famosa villa medicea. Ne ha tanti di camini. “....son morto con altri cento.......passato per il camino.........e qui ce ne sono tanti davvero di camini........”. Che stupido. Canticchio.
Poi sento i morsi dell'appetito. In questi luoghi viene sempre fame. Perché? Un mistero. Forse quello che ti vorresti mangiare, per portartelo via, è proprio il luogo, no? Che stupido.
Ma lo stupido ha fame.
Vedo la vecchia insegna di posto telefonico di paese, appiccicata ad un muro dall'intonaco vecchio e marrone; proprio come il colore di quei boschi di prima. Un telefono pubblico che certo sarà servito a qualche vecchio ciclista stupito di non riuscire proprio più a tornare verso casa, come faceva vent'anni prima ed allora: ...”TUH, TUH, TUH..........son'io, venitemi a prendere sull'Arrendevole!”.

Solo la buia insegna di “SAMMONTANA, GELATI ALL'ITALIANA” mi fa capire che dietro a quel muro ed al di là di quella porta anodizzata dovesse esserci ancora un bar da merende.
Entro.
Si apre il mondo chiudendosi su se stesso.
Un bancone ricolmo di salumi brutti (e quindi buoni), formaggi senza inutili targhette eeeeee...............e una soppressata (che notoriamente non appartiene al genere dei salumi ma fa parte di una famiglia a se stante come quella costituita da un solo elemento che non si vuol concedere al passante né all'amante. Ma allo spasimante.) Un colore grigio smorto che ne denuncia la maestosa bontà, inversamente proporzionale, appunto, all'aspetto losco.
Notoriamente quella rossiccia del supermercato è di fin troppo facili costumi.
I gestori: una coppia anziana ed avvezza ai precipizi degli avventori affamati giovani e vecchi.
In questi luoghi non si ordina una merenda, ma si domanda.
Domando una schiacciata sciocca ripiena di soppressata ed ordino (ora si) una moretti piccina....(anche se rimango stupito dell'assenza della Splugen o della Peroni.......”non si può avere tutto”, mi dico).
Mi siedo.
Meglio: mi raccolgo.
Tavolino di fòrmica davanti ad un gigantesco televisore Grundig (schermo mesozoico con tubo catodico modello cappa).
Io ed il barista guardiamo la Venièr. Ma io mangio a differenza di lui........
Lui commenta una storia televisiva incomprensibile e che ovviamente lui ha compreso benissimo.
Sento forti bestemmie provenire da un gruppo di ragazzi foruncolosi che giocano a carte nel teatrino rosso, attiguo e ben visibile. Vero! Un teatro con tanto di palcoscenico e sipario. Quelle bestemmie non le comprendo nemmeno tanto sono bizzarre e fantasiose, ma, mi dico, “....sarà Eschilo......ed io il greco antico non lo ricordo più”....
Una misteriosa fruitrice di caffè parla con la “salumaia” in piena confidenza ed utilizzando spesso il “Dé”. Il dé a Prato. Mah........
-”....ma in che posto sono?”........una babele di suoni, sapori e fonetiche sradicate.
Io, ancora raccolto come prima, mi scopro ad adorare tutto questo.
Traggo forza dalle cose che sempre ho creduto di capire ma che invece non ho mai capito. Traggo forza dallo scoprire che adesso finalmente tutto è intonato al resto. E forse non c'è niente da capire se non i contesti nei quali ci fiondiamo. Cioè.....capire noi stessi in rapporto a tali contesti...meglio.
A malincuore pago. Mi stupisco che il conto non sia in lire.
Esco ed il vento che sfianca una madonnina agita anche me.

Sono l'ora dell'inchiostro a metà tra lupo e cane. E riprendo la strada di casa in piena ora del lupo. Buio.

Ed attendo la strada che porta sempre da qualche altra parte e che i allontana inesorabilmente da ogni casa che senti dentro a quella scatola che chiamiamo cuore.
Eschilo non l'ho mai capito, nemmeno quando il greco antico lo intendevo, ma in fondo........parlava parole che bastava aspirare...




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